"Cantami, o Diva…"

recensioni di libri e di film tratti da libri, scrittura creativa, spunti letterari.

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jack Kerouac- On the road – recensione completa (no spoiler)

Titolo: Sulla strada ( a volte lasciato On the Road)
autore: Jack Kerouac
Casa editrice: Mondadori ( per lo meno la mia versione ma e’ ovviamente riproposto da moltissime c.e)
Anno uscita prima edizione: 1957
Pagine: 382
Costo: 12 euro
Genere: tradizionalmente e’ inteso come ”romanzo giovanile di formazione”- narrativa statunitense post WWII

Recensione completa. NO SPOILER.

”E non sapete che Dio e’ Winnie the Pooh?”

Libro apparentemente semplice, lineare, come la strada che si srotola di fronte agli occhi dei personaggi. Opera in realta’ molto complessa, che non si liquida in poche parole, in quanto e’ doveroso tenere conto dei molteplici piani di lettura che la caratterizzano.
Le recensioni che negli anni si sono susseguite-ricordiamo che il libro e’ vecchio di oltre mezzo secolo- sono nettamente bipolarizzate: o lo stroncano, sostenendo sia un’opera sopravvalutata, o lo celebrano, vedendo in esso un capolavoro. Addirittura un romanzo che ti cambia la vita. Di certo non suscita e non ha mai suscitato emozioni tiepide, e questo e’ tipico dei ”grandi”, siano essi grandi libri, o grandi film, o grandi personaggi storici.

Che Sal Paradise sia l’alter ego di Kerouac stesso e’ appurato, che il libro sia stato scritto in tre settimane forse e’ solo leggenda. Si tratta quindi del ”diario di bordo”, del racconto di tre viaggi, compiuti da  Kerouac-Sal Paradise, in lungo e in largo per l’America. 
E, davvero, si puo’ anche chiudere qui con la trama. Uno, perché cosi’ evito lo spoiler e due, perché effettivamente la trama e’ tutta qui. Il resto, essenzialmente, e’ il resoconto dettagliato dei fatti vicenda dopo vicenda, amplesso dopo amplesso ( anche se Kerouac non descrive mai le scene ), discorso favoleggiante dopo discorso favoleggiante. Il tutto a un ritmo serrato, ma che alla lunga stanca: vira obiettivamente verso il ripetitivo.
Narratore interno e protagonista, il classico ”io narrante” che racconta sue vicende passate, si esprime in uno slang giovanile chiaramente tradotto , ma che sarebbe stato meglio lasciare intatto. Questo e’ un discorso che faccio uguale per qualsiasi romanzo statunitense del periodo post bellico o appena precedente, da Fitzgerald, a Salinger, a Kerouac: vanno letti in lingua originale. Vanno capiti. E vanno ovviamente contestualizzati. Purtroppo l’american english e l’italiano non sono lingue perfettamente sovrapponibili, soprattutto per cio’ che concerne l’impiego di  talune espressioni idiomatiche. Leggerselo tradotto, per quanto la traduzione sia attenta e fedele, lo rende un po’ forzato, di certo piu’ artificioso.

On the road letto in lingua originale, in sostanza, è nettamente superiore al riadattato “sulla strada”. Se si mastica bene l’inglese vale la pena misurarsi col testo autentico.
Cio’ detto.
Dovessi fermarmi al primo piano di lettura, per cosi’ dire ”nudo e crudo”, del libro ”in se’ per se’ ”, anche io non potrei non accodarmi alle critiche tutto sommato negative. E, badate bene, io adoro questo libro.
La domanda che ci si deve porre pero’ e’ un’altra: puo’ on the road essere davvero analizzato avulso dal contesto culturale e soprattutto senza tenere conto della filosofia che, volente o nolente, lo permea?
Considerando che questo romanzo e’ visto come il ”manifesto” di un movimento, quello della Beat generation, direi di no.
E il discorso si fa allora molto piu’ complesso: tanto scarna ( o monotona, se vogliamo) la trama, tanto ricco di contenuti il libro. 
Contesto storico: l’America post bellica, e fin qui ci siamo. 
America trionfatrice, America che si bea di essere ora la prima potenza mondiale, America che raccoglie i frutti della guerra stessa: ha dimostrato la sua potenza, ha piegato i regimi dittatoriali, ha stroncato anche il Giappone.
…e i cittadini americani, allora?
Sono gli anni dell’ ”American dream”: gli U.S.A sono la faccia pulita del mondo, figli della democrazia, ogni american man quindi si trova ( o dovrebbe trovarsi) immerso in un contesto di benessere e dovrebbe sentirsi addirittura in dovere di ostentare la propria superiorità culturale ( suggerisco di guardare i vecchi cartoni animati  del ’42, ’43 della WB e della Disney stessa, coi loro intenti propagandistici e tristemente autocelebrativi) . Gli U.S.A sono i primi, i soli, gli unici, i piu’ grandi. E l’uomo americano ”tipo” dovrebbe incarnare tutto cio’.
Non c’e’ posto per l’ansia di vivere, la fuga dalla noia esistenziale: perché fuggire dal Paradiso?
E poi ci sono loro. Sal Paradise, Dean Moriarty, Marylou. Loro non brillano: loro ardono, scoppiano, esplodono come fuochi d’artificio. Si consumano.
Loro non pensano a trovarsi un lavoro fisso, se anche si sposano si tratta di relazioni abbastanza frivole, loro conoscono un modo migliore, forse anzi l’unico modo per vivere la propria giovinezza: la strada.
Avvertono la chiamata della strada ( non della meta, della strada, attenzione) e  si incamminano. Fuggire,  cercare cosa?
Qualcosa: il beat, il ritmo, il battito, e’ questo qualcosa.
Ma se ”to beat” significa battere, tenere il tempo, allora loro sono i battuti, gli sconfitti, i disadattati, i dannati, la gioventù bruciata.
E effettivamente e’ vero.
Fuggono dal tempo -non esiste cosa piu’ raggelante dell’invecchiare.
Fuggono dalle famiglie-e non se ne creano di altre.
Fuggono dalla lucidita’ mentale- benzedrina, alcool etc.
Fuggono dalle responsabilità: la strada li abbraccia, questo personaggio vero e proprio, la strada che viene concepita come una dea, la strada e’ sacra. Dove c’e’ la strada non c’e’ preoccupazione, se non quella di spingersi più avanti.
Dove andiamo? Non importa, basta che andiamo.”
Un messaggio tremendo, agghiacciante, ”creepy” ( disturbante) : per questo io interruppi la lettura a meta’, quest’ estate. ( per poi riprenderla in seguito e finire il libro.)
Non tanto per la storia descritta che obiettivamente non scorre, si ”inceppa”, fa venire la tentazione di saltare qualche pagina: ma per il messaggio.
Da una parte, soprattutto se hai venti anni, questo modo di pensare ti affascina e magari ti spinge anche a celebrare lo spirito d’avventura, a ricercare la liberta’ sopra ogni cosa. Ma questa idea di fuga a vuoto e’ lacerante, questo edonismo a tutti i costi nausea. E’ come ingurgitare un grandissimo quantitativo di dolce: all’inizio e’ squisito ma dopo la terza fetta non ne puoi piu’.
E non ne poteva piu’ manco Kerouac, visto che a un certo punto si decideva sempre a tornare. Ma il demone dell’amico Dean Moriarty, grande calamita delle vicende, lo spingeva di nuovo a ripartire.
Normalmente questo libro viene consigliato -o imposto- al liceo, ed e’ tradizionalmente concepito come ”romanzo di formazione”. Ecco allora che la strada e il viaggio vengono innalzati a metafora della vita. 
Questa visione classica di on the road, a mio avviso, e’ discutibile, da rivedere.
Non credo sia un romanzo di formazione: nel romanzo di formazione ( es. I promessi sposi) il personaggio parte che e’ A, si sposta da x a y, torna che e’ B.
Non ritengo che Sal Paradise abbia compiuto una trasformazione interiore, una maturazione, al di la’ di aver sommato esperienze su esperienze, al di la’ di aver sperimentato che con due spicci in tasca e la voglia di partire si puo’ arrivare ovunque.
il Sal dell’inizio del primo viaggio e’ lo stesso del monologo dell’explicit, e questo proprio perche’ il libro non deve insegnarti nulla, la strada, piu’ che maestra, e’ una donna d’amare e seguire. Un’amante.
Non a caso Kerouac e’ uno che muore di cirrosi epatica a 47 anni.
E la stessa sorte tocca un po’ a tutti i suoi amici, anche loro fulcro della beat generation, persone realmente esistite.
E direi che in questo sta la bellezza del libro: e’ un libro vero, una testimonianza autentica. Sal e Dean hanno davvero sommato questo numero rilevante di conquiste, hanno davvero incontrato personaggi ”folli”, hanno davvero filosofeggiato su Dio e sulla Morte e sull’Arte e più’ in generale sul senso della vita, hanno davvero pensato di organizzare un’orgia ecc ecc.
Ed erano gli anni cinquanta del Novecento: vi rendete conto com’era, all’epoca, il tessuto sociale in Italia? 
Non risulterebbe abbastanza ardito anche oggi un lifestyle del genere? Insomma: io avessi un figlio storcerei un attimino il naso a saperlo per la route66 in compagnia di un gruppo di disadattati guidati da un tizio da carcere e ”riformatorio”.
Altre tematiche del libro che esulano-ma poi non tanto- dalla filosofia della beat generation: l’amicizia ( che nasce sempre da un sentimento di ammirazione. Vorrei pero’ far notare al lettore  il cinismo disfattista, forse involontario, dell’autore: Carlo Marx e’ omosessuale, quindi l’amicizia che stringe con Dean in realta’ cela ben altri appetiti; Sal stesso e’ amico di Dean tanto da seguirlo sempre e ovunque, ma quest’ultimo non esita ad abbandonarlo in preda alle febbri; e lo stesso Sal-Kerouac, che non e’ esattamente uno stinco di santo, mette gli occhi addosso alla donna di Dean, Marylou) , l’amore ( molto fisico, inconsistente, fatto soprattutto di carne: l’autore mette in evidenza l’impossibilita’ di stringere o mantenere dei legami. Del resto, non rimanendo mai fisso in un determinato posto, risulta praticamente impossibile pensare a una relazione seria.), la paura della morte e, prima ancora, della vecchiaia.
I personaggi si somigliano un po’ tutti, ma sono a tutto tondo: anche per forza, essendo trasposizioni letterarie di persone vere.
In particolar modo Sal risulta venato di risvolti psicologici interessanti: a volerlo ”tipizzare” e’ l’ ”artista outsider”, bello e dannato, ce lo immaginiamo vestito da hipster, l’aria sfatta e consumata di chi ha visto troppa vita, una sigaretta in bocca, l’occhio socchiuso che scruta l’orizzonte. E’ interessante questa sua ”lotta” interiore tra la smania di partire e la voglia di rimettere, ogni tanto, la testa a posto. Ed e’ la stessa voglia che viene al lettore. ”Cosa mi frena? Perche’ io no?”. ”Dai, aspetta, forse e’ un po’ tutto esagerato.”
Ce lo immaginiamo poi curvo sulla macchina da scrivere, passare tutta la notte a battere sui tasti, finche’ il ”rotolo” non tocca il pavimento.
Immagine bellissima, non a caso e’ stata ripresa pari pari anche nel film.
Dean Moriarty e’ forse il vero protagonista: senza di lui non ci sarebbe il romanzo. E’, insomma, il piu’ ”beat” di tutti. Emarginato sociale, ritiene pero’ di sapersi muovere bene all’interno della societa’ stessa, e di amarla pure. Dean e’ una sorta di ”walking contraddiction”, un personaggio c.d ”inattendibile”.

L’opera e’ ovviamente consigliata. E’ uno di quei libri che vanno assolutamente letti, anzi, nella vita ”on the road” andrebbe letto almeno due volte.
La prima a vent’anni ( non prima, secondo me: lo ripeto, non e’ libro da liceali), quando cioe’ il giovane lettore puo’ coglierne soprattutto gli aspetti ”mitici”, esaltandosi nella lettura, aggrappandosi alla propria giovinezza e celebrandola come eta’ dell’oro, delle esperienze intense, delle ”follie” e della libertà.
E la seconda volta verso i quaranta. Sicuramente con altri occhi.
Mi ripropongo di farlo anche io, tra una ventina d’anni.

E fu cosi’ che iniziò in realta’ la mia esperienza sulla strada, e le cose che sarebbero successe dopo sono troppo fantastiche per non raccontarle.”
E noi ti seguiamo, caro Jack Kerouac. Ti seguiamo sulla strada da una cinquantina d’anni, ti abbiamo rivisto di riflesso negli hippie, sei approdato al cinema l’anno scorso. E non senza un certo rammarico: anche tu,come Bukowski e Chuck P., rischi di essere innalzato a fenomeno commerciale, ”pop” e in voga, banalizzando lo spirito di quegli anni. Scadi da ”filosofia di vita” -e effettivamente i ”beat brothers” sono rimasti tali tutta la vita- a ”oddio che figo, questi fanno cose pazze”. 
Un autore che diventa inconsapevolmente metro di un edonismo molto piu’ frivolo di quello dei suoi anni. Ancora piu’ vuoto, se possibile.
Ma forse anche questo e’ il prezzo dell’immortalita’, caro Kerouac.
Stay beat.

Voto complessivo: 4, 50/ 5  ( non e’ un libro che ”scorre” , e questo puo’ urtare il lettore e spingerlo a non leggere oltre)
Consigliato:  decisamente si’.

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